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Non proprio regole: yama e niyama, le dieci norme di comportamento e stile di vita degli yogi, non prescrivono realmente cose da fare o non fare, ma piuttosto suggeriscono contesti, situazioni, da applicare nella nostra vita. Perciò, ci piace definire yama e niyama come dieci consigli per vivere meglio.

C’è una grande differenza tra i valori cosiddetti morali e sociali e yama e niyama. Patanjali cita 5 (yama) e 5 (niyama), tra i quali ahimsa, la nonviolenza, è il più importante: il concetto di himsa (la parola significa “violenza” in sanscrito e la a davanti è privativa) porta enormi disturbi alla mente, e giacché lo scopo dello yoga è il controllo della mente, tutto ciò che può disturbare deve essere eliminato e limitato.

Yama e Niyama, dieci consigli per vivere meglio

Ahimsa è il primo yama (voto di osservanza), una disciplina autoimposta, messa in pratica per addestrare la nostra capacità, le nostre attitudini. Questo non per raccontarle a qualcuno o vantarcene, ma perché le utilizziamo in proprio, le facciamo nostre.

La virtù dell’ahimsa ha la radice nell’assenza della paura. Se non diamo fastidio agli altri, gli altri non ce ne daranno e diventeremo senza paura. La libertà dalla paura è una delle qualità più ricercate da chi pratica yoga. Ma andiamo con ordine.

Yama e Niyama sono i primi due gradini dell’ashtanga-yoga, o yoga degli otto passi, in cui lo studioso Patanjali (forse vissuto tra il II e il V secolo a.C.) ha sistematizzato lo yoga nel famoso libro Yoga-Sutra, brevi aforismi in cui elenca gli 8 passi:

  • yama e niyama (proibizioni e obblighi che ci aiutano nel sociale);
  • asana (posizioni yoga, aiutano a livello fisico);
  • pranayama (controllo del respiro, aiuta a livello fisico);
  • pratyahara (controllo degli organi di senso, aiuta a livello mentale);
  • dharana (concentrazione);
  • dhyana (meditazione);
  • samadhi (illuminazione, liberazione).

Brevemente, i 5 yama sono: nonviolenza, sincerità, onestà, continenza sessuale, povertà. I 5 niyama sono: purezza, contentamento, austerità, studio/conoscenza di sé, abbandono alla volontà divina.

Ahimsa: la nonviolenza

Nonviolenza verso cose, persone, animali, in ogni senso; questo è ahimsa. Vuol dire non fare del male a nulla.

Anche le azioni, le parole e i pensieri non devono contenere aggressività. Anche essere contenti dei guai altrui è violenza. Ahimsa è una questione di attitudine, è non disturbare nessuno a nessun livello. Ricordiamoci poi che ahimsa significa nonviolenza anche di pensiero: occorre quindi modificare non solo le azioni violente, ma anche i pensieri violenti e/o che generano violenza.

È praticamente impossibile praticare un’autentica nonviolenza. Possiamo però metterci in cammino, e se non riusciamo a evitare di fare del male possiamo almeno impegnarci a farne il meno possibile. Per esempio non potremmo vivere praticando un’ahimsa integrale: anche essendo vegetariani uccideremmo comunque i microrganismi presenti nell’aria, e le piante che mangeremmo. Però possiamo optare per una violenza minore decidendo di non uccidere – né far uccidere – un animale per nutrircene e fare una scelta vegetariana o vegana. Uccidere un animale è una violenza maggiore rispetto a uccidere una pianta, così come uccidere un essere umano è più violento che uccidere un animale.

Nonviolenza a yoga

Nonviolenza: per comprendere l’uso di questa astensione dovremo innanzitutto sempre tenere presente le qualità che caratterizzano una postura yoga (asana) e la rendono diversa da qualunque posizione di ginnastica o esercizio fisico. Queste qualità sono essenzialmente due: stabilità e comodità; cioè un’asana dovrebbe essere mantenuta in modo stabile (cioè immobile, senza tremori e per lungo tempo) e comodo. Per comodo si intende senza sforzo, e per questo occorrerà – col tempo – identificare le parti del corpo che effettivamente lavorano per il mantenimento della posizione e cercare di rilassare tutte le altre. Così si risparmierà energia e l’asana potrà essere mantenuto in modo confortevole.

L’accento è sul non sforzo che può essere facilmente identificabile con nonviolenza. Praticheremo ahimsa eseguendo gli asana senza movimenti bruschi per entrare ad ogni costo nella posizione, senza farci aiutare da qualcuno (o qualcosa) che spinge o tira i nostri arti per piegarli nella giusta posizione.

Un atteggiamento nonviolento è anche non formulare pensieri negativi verso noi stessi: Guarda come sono rigido!, Non è possibile che a trent’anni non riesca a piegarmi più di così, Non ci riuscirò mai, è meglio lasciar perdere ecc.

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