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Sulle origini dello yoga non si sa molto di certo. Possiamo tuttavia delineare un quadro generale, utile a collocarlo nel più ampio contesto storico dell’India.
Partiamo dai primi ritrovamenti di materiale che ci parla dello yoga.
Siamo nella valle del fiume Indo, a Mohenjo Daro, un insediamento – oggi in Pakistan – che risale al terzo millennio a.C. Qui, tra altri reperti, viene trovato un sigillo raffigurante una figura umana seduta in una posizione yoga e circondata da animali.
Tale testimonianza ci dice che certe tecniche di autocontrollo fisico e mentale erano già praticate e conosciute in epoca molto remota, antecedente all’arrivo degli Arii.

Gli Arii e i Veda: lo yoga come unione

Gli Arii furono una popolazione immigrata nel Punjab probabilmente fra il 1500 e il 1250 a.C.
Affidarono le loro credenze e la loro filosofia ai Veda, libri antichissimi tenuti ancora oggi in grande considerazione (sono una sorta di “bibbia” per il mondo induista). In essi, e in particolare nel Rig-veda, troviamo nuove tracce dello yoga.
Non sempre il termine compare nell’accezione moderna. Yoga è infatti il giogo applicato al collo dei bovini e dei cavalli per farli lavorare in coppia (di qui probabilmente deriva l’accezione di “congiungimento”, “unione”). Yoga compare nei Veda anche per indicare “acquisizione di cose ignorate” e i praticanti vengono chiamati muni, rishi, kavi, kashin, non yogin come sono definiti ancora oggi.

Yogi e yogini, coloro che praticano lo yoga

Anche se nei testi più antichi non compare alcun riferimento allo yoga come disciplina, né agli yogi (cioè coloro che praticano lo yoga; se donne si chiamano yogini), né troviamo menzione delle asana (posture) o del pranayama (tecniche di respirazione) ecc., i Veda restano senza dubbio le vere fonti dello yoga. Nelle Upanishad (l’ultima parte dei Veda) troviamo per altro citate molte pratiche, unitamente ai loro effetti. Successivamente, come osserva Stefano Piano nella sua Enciclopedia dello yoga (Promolibri, Torino 1996), “le tecniche dello yoga non rimasero estranee alle scuole indiane “eterodosse”, come il jainismo e il buddhismo, e i grandi poemi epici sanscriti, specialmente il Mahabharata, illustrano le caratteristiche di quello yoga che si suol chiamare pre-classico o “epico””. Nel Mahabharata – considerato il “vangelo” dell’India e su cui ritorneremo per parlare in particolare di una sua parte, la Bhagavad-gita, uno dei testi chiave della tradizione induista – Krishna proclama che la via del cuore, della devozione (Bhakti yoga) è la migliore.

Anche Buddha…

Buddha stesso apprese lo yoga da due maestri del suo tempo, e i testi buddisti antichi presentano molte similitudini con l’opera di Patanjali – il codificatore dello yoga classico – tanto che si può supporre l’esistenza di fonti comuni. Anche i testi jainisti, al pari di quelli buddisti, esprimono concezioni vicine a quelle della Bhagavad-gita ed entrambi hanno contribuito in modo notevole allo sviluppo dello yoga. Mentre i buddisti aggiunsero allo yoga molte tecniche di meditazione, i jainisti posero l’accento sull’aspetto dell’educazione e delle attitudini e sul controllo da esercitare sul comportamento individuale.

Yoga-sutra

Ma il testo antico più autorevole dedicato allo yoga è rappresentato dagli Yoga-sutra di Patanjali, che proprio per questo, come dicevamo, è considerato il “padre” dello yoga classico. Il testo è appunto scritto sotto forma di sutra, brevi massime attraverso le quali, con pochissime parole, si esprime una norma o una sentenza. Al tempo di Patanjali lo yoga attraversava un periodo di grande splendore, ed era importante che non subisse deviazioni, trasformazioni, interpretazioni indebite. Patanjali riuscì a condensare il patrimonio delle conoscenze accumulate fino a quel momento in 139 frasette. Ciascuna frase è scritta in modo così ermetico che nel corso del tempo sono nati interpretazioni, commenti, commenti dei commenti, per cercare di rendere più chiaro il contenuto dei sutra.
È attraverso l’opera di Patanjali – la cui datazione è per altro molto incerta – che lo yoga diventa uno dei sei darshana (punti di vista), cioè uno dei sei sistemi filosofici dell’India antica.
 
*Liberamente tratto da Cinzia Picchioni, Introduzione allo yoga, L’Età dell’Acquario, Torino 2001

Commenti

5 Comments

  1. Avatar di Alessandra Agnolon Alessandra Agnolon
    23 Ottobre 2014 @ 23:25

    Ho guardato per la prima volta oggi il sito e letto gli articoli di Cinzia (sono un po’ di parte, è la mia saggia maestra di yoga).
    Complimenti per la rivista, interessante sia come approfondimento che come divulgazione a tutti, praticanti e non.
    Vi seguirò con piacere,
    Alessandra

  2. Avatar di Federico Federico
    25 Febbraio 2017 @ 18:10

    Ciao. Il sigillo raffigurato a inizio pagina non è il reperto descritto ma appartiene all’Europa circa 2000 anni dopo!

    • Avatar di Enrica Enrica
      22 Ottobre 2019 @ 14:24

      Ecco grazie per la precisazione. Avevo intuito ma grazie per la conferma.

  3. Acroyoga a Essere&Divenire: vola in alto, io ti sostengo. Fidati di me (e te)
    9 Giugno 2018 @ 14:26

    […] Lo yoga è una pratica molto antica, i suoi benefici sono riconosciuti a livello globale e ne esistono molte declinazioni. Per capire quanto venga considerato salutare, basti pensare che molte scuole lo stanno introducendo nei loro programmi di attività. Io, che sono andata alle elementari quando ancora si potevano chiamare così senza che nessuno di offendesse e quando c’era una sola maestra per classe, ho avuto la fortuna di praticarlo per cinque anni. La mia maestra era splendida e si unì alle altre quattro del nostro stesso anno dandoci possibilità che altri non hanno avuto. Ognuna aveva un’attitudine spiccata in un campo e così si organizzarono per farci fare attività, oltre quelle decise dal ministero, come inglese, canto, recitazione e yoga. Lo so, sono stata fortunata, anche se a vedermi ora non si direbbe che lo abbia già fatto in vita mia! […]

  4. Avatar di Cinzia Picchioni Cinzia Picchioni
    23 Ottobre 2019 @ 9:14

    Vorrei rispondere a Federico che nell’articolo non c’è scritto che l’immagine è quella del famoso Sigillo di Mohenjo Dharo.. l’immagine è, appunto, solo un’immagine rappresentativa (infatti non ha didascalia). A volte negli articoli il redattore (e/o il grafico) non può mettere certe immagini (per via di diritti e altri pasticci), e cerca perciò altre figure. Finché non c’è didascalia ed esplicito riferimento nel testo non è un problema, né un errore.

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